
Le associazioni che si propongono di aiutare famiglie e bambini meno fortunati sono spesso considerate l’ultima frontiera della solidarietà. Ma sotto la patina di altruismo, si nasconde un sistema che, anziché liberare chi ne usufruisce, ne cementa la dipendenza, rendendo i beneficiari schiavi di un meccanismo tanto perverso quanto controproducente.
Il principio cardine che muove queste organizzazioni sembra essere quello di “occupare il tempo libero dei bambini”. Come se il problema fosse il tempo trascorso fuori casa, magari in cattive compagnie. Ma è davvero questa la radice della questione? No, il problema non è quanto tempo i minori passano fuori casa, ma ciò che trovano dentro. Una casa incapace di fornire supporto emotivo, sicurezza economica e prospettive di riscatto. Se si parte da una diagnosi errata, è inevitabile che anche la cura sia sbagliata.
Dipendenza mascherata da aiuto
Le associazioni offrono pasti caldi, doposcuola, attività ludiche. Tutto bello sulla carta, ma nei fatti non fanno altro che perpetuare un rapporto di dipendenza. I minori e le loro famiglie diventano prigionieri di un sistema che li tiene a galla, ma non insegna loro a nuotare. Nessuno li prepara a camminare con le proprie gambe; al contrario, vengono illusi che ci sarà sempre qualcuno pronto a salvarli. Non è aiuto, è assistenzialismo fine a sé stesso.
Questa dipendenza non solo nuoce ai beneficiari, ma alimenta il sistema stesso. Più utenti serviti, più fondi raccolti, più volontari coinvolti. È un circolo vizioso dove l’interesse primario sembra non essere quello di emancipare, ma di mantenere in vita la macchina organizzativa. Paradossalmente, queste associazioni finiscono per diventare fabbriche di povertà: sfruttano il disagio per autoalimentarsi, a volte inconsapevolmente, altre volte no.
Inclusione? Solo un miraggio
Si parla tanto di inclusione, ma la realtà racconta un’altra storia. Portare un bambino in una struttura associativa non significa includerlo. L’inclusione vera è potersi permettere di andare al cinema con gli amici, comprarsi un gelato senza dover fare i conti in tasca, trascorrere un pomeriggio al McDonald’s come chiunque altro. Finché questi bambini saranno trattati come un problema da gestire anziché come individui da emancipare, l’inclusione rimarrà un miraggio.
Un modello virtuoso: creare il benessere, non la dipendenza
La chiave per spezzare questo circolo vizioso non è un mistero: è la creazione di benessere. Uno Stato che voglia davvero risolvere il problema della povertà deve assumersi la responsabilità di creare le condizioni per l’indipendenza, proprio come stabilisce la Costituzione. L’articolo 4 garantisce il diritto al lavoro, ma quante famiglie che vivono in condizioni di disagio hanno una reale opportunità di lavorare?
Il sistema assistenziale, così com’è, si limita a tamponare le ferite, ma non offre strumenti per guarire. Lo Stato dovrebbe investire in politiche attive per l’occupazione, formazione professionale per gli adulti e sostegno alla creazione di attività autonome. Offrire un lavoro stabile significa restituire dignità, non solo reddito. Significa dare alle famiglie la possibilità di prendersi cura dei propri figli senza dipendere dalla carità.
Creare benessere significa anche investire nei territori. Le aree economicamente depresse diventano terreno fertile per associazioni e progetti che, invece di risolvere il problema, lo istituzionalizzano. Se invece si creassero infrastrutture, scuole efficienti, servizi pubblici di qualità e opportunità di lavoro, il bisogno stesso di assistenza si ridurrebbe drasticamente.
Un modello che lucra sul disagio
Le risorse impiegate dalle associazioni vengono destinate a mantenere lo status quo, piuttosto che a rompere il ciclo della povertà. Si potrebbe lavorare sulla formazione dei genitori, offrire opportunità di lavoro reale alle famiglie, costruire reti di sostegno che non dipendano dalla carità, ma che puntino all’autonomia. Eppure, queste soluzioni richiedono tempo e investimenti a lungo termine. Molto più facile raccogliere fondi per qualche iniziativa di facciata che dia risultati immediati, anche se effimeri.
La realtà è che un sistema che non punta all’indipendenza finisce per essere più utile